Procedura di mediazione obbligatoria nel processo civile
Circolare Finco
Dal 21 marzo 2011 ha acquistato piena efficacia il d.lgs. del 4 marzo 2010, n. 28 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale N. 53 del 05 Marzo 2010, che prevede la procedura di mediazione obbligatoria nel processo civile.
In particolare, è previsto un elenco di materie per le quali l’esperimento del procedimento di mediazione è obbligatorio a pena di improcedibilità:
diritti reali (proprietà, enfiteusi, superficie, servitù, usufrutto, etc…), divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, contratti bancari, contratti finanziari, condominio (dal 21 marzo 2012), risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti (dal 21 marzo 2012). Fermo tale elenco, il Giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, potrà invitare le stesse a procedere alla mediazione, anche in altre materie rispetto a quelle elencate La procedura. L’intento è quello di deflazionare il contenzioso, veicolando le controversie attraverso l’organo di mediazione. Difatti, ogni qualvolta si intenda intraprendere un’azione giudiziaria in una materia ricompresa tra quelle richiamate, sarà necessario che l’attore / ricorrente presenti domanda di mediazione ad uno degli organismi riconosciuti dal Ministero della Giustizia, anche senza l’assistenza di un difensore. Qualora la parte si sia rivolta ad un legale, ignara della necessità di esperire il tentativo di conciliazione, quest’ultimo ha l’obbligo di informarla di tale necessità a pena di improcedibilità della futura azione giudiziaria. Se invece il tentativo non viene esperito, la domanda azionata innanzi al giudice non potrà aver seguito (l’improcedibilità può sanarsi solo se non viene eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice entro la prima udienza). La condizione di procedibilità è soddisfatta con il mero espletamento della mediazione, che non a caso è denominato ‘ tentativo’; infatti non è necessario che questo vada a buon fine. In caso di mancato accordo, peraltro, la parte che non ha accettato la proposta del mediatore potrebbe vedersi addebitate le spese giudiziarie anche in caso di vittoria, se il Giudice perviene alle medesime conclusioni cui era giunto il mediatore. È evidente che la riforma, prevedendo che le spese giudiziarie siano pagate non dal soccombente (come avviene di regola) ma da chi non accetta la mediazione, ha introdotto un meccanismo ‘sanzionatorio’ e deterrente per non vanificare l’istituto e per evitare che la previsione legale resti lettera morta. Chi è il mediatore? Il mediatore, definito come “la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”, è un laureato (anche triennale) o un iscritto ad un ordine professionale, che abbia maturato almeno 50 ore di formazione specifica presso un Ente di Formazione accreditato presso il Ministero della Giustizia, e che possegga i requisiti di onorabilità e comprovate conoscenza linguistiche (che andrebbero meglio specificate). Il ruolo affidato al mediatore è di tentare di conciliare le parti prima che le stesse mettano in moto la macchina giudiziaria, al chiaro scopo di abbattere la massa di contenzioso che ingolfa la giustizia italiana. Difatti, solo laddove il tentativo di mediazione non abbia un buon esito, le parti potranno presentarsi davanti ad un giudice con l’assistenza di un avvocato, assistenza che non è prevista come obbligatoria dalla legge nella fase di mediazione. Le polemiche. La novità legislativa ha suscitato malumori in seno all’Ordine professionale degli Avvocati che, sotto la sigla dell’Oua (l’Organismo Unitario dell’Avvocatura), ha indetto manifestazioni di protesta ed ha presentato ricorso innanzi al TAR per l’annullamento del regolamento attuativo emanato dal Ministero della Giustizia, ritenendolo illegittimo e tacciando di incostituzionalità l’intera riforma (prospettando il distoglimento dal giudice naturale precostituito per legge e la violazione del diritto di difesa con un aumento di oneri e costi per ottenere risposta alla domanda di giustizia) il che ci sembra francamente una forzatura. Le doglianze degli Avvocati riguardano anche la lamentata mancanza di una previsione di una preparazione giuridica in capo al mediatore e l’impedimento dell’immediato accesso dei cittadini alla giustizia, paventando il rischio di compromettere l’effettività della stessa tutela giurisdizionale a vantaggio dei ‘poteri forti’, che beneficerebbero della riforma. Alcune nostre osservazioni. Lo spirito della riforma pare condivisibile nei suoi obiettivi principali: alleggerire la mole di processi che intasa la macchina giudiziale non può che essere un intento necessario ed improcrastinabile, non a tutela dei cosiddetti ‘poteri forti’ – che è una locuzione priva di contenuto – ma piuttosto a tutela dei cittadini e delle imprese, troppo spesso esposti alle lentezze del sistema giudiziario e lungi dall’essere forti. È proprio a questi ultimi che può far gioco la lentezza predetta, la piccola impresa è invece – per definizione – un “potere debole”, quindi non approviamo prese di posizioni demagogiche ed in contrasto con quanto avviene nella realtà. Né tale finalità pare essere svuotata di contenuti dalla circostanza per la quale non è prevista l’assistenza obbligatoria degli avvocati, atteso che non prevedere il patrocinio obbligatorio non implica che le parti non possano chiedere anche in sede di mediazione, se lo ritengano necessario, il sostegno di un avvocato. Peraltro, laddove nella mediazione non dovessero essere soddisfatte a pieno le pretese delle parti, e solo in tal caso, si procederà al giudizio comune dove gli avvocati dovranno obbligatoriamente assistere le parti stesse, le quali potranno far valere tutti i diritti costituzionali dei quali si paventa la compressione. Circa i costi della procedura, non sembrano eccessivi: per avviare il procedimento sono sufficienti quaranta euro; in ogni caso i soggetti istanti (cittadini, imprese etc.) potrebbero non dover pagare onorari né spese giudiziali. Sarebbe in definitiva auspicabile valutare l’impatto sul numero delle controversie instaurate alla luce dei primi dati che a breve saranno disponibili, e non bocciare a priori una riforma che potrà favorire i cittadini e le imprese, che hanno senz’altro l’interesse, o meglio, il diritto ad una giustizia che per essere effettiva deve essere anche ragionevolmente rapida. Se i mediatori riusciranno a smaltire la mole di contenzioso ordinario e per lo più di scarsa rilevanza economica, alla giustizia ordinaria resterà più tempo per risolvere meglio le controversie più complesse, o quelle per le quali l’accordo è impraticabile. E se si innalza il livello qualitativo delle controversie, anche la classe forense potrà – riteniamo – trarne giovamento, potendo esprimere al meglio la propria professionalità.
Angelo Artale
F.IN.CO. Confindustria F.In.Co.